Erica Mou per DYL: “Ho sempre creduto nella musica”

La giovane cantante racconta la sua carriera e le esperienze tra collaborazioni importanti e live in tutto il mondo

Quando a 23 anni puoi vantare tre album, caratterizzati da importanti collaborazioni, tour in Italia e in Europa, una partecipazione a Sanremo, la presenza di alcuni brani in pellicole cinematografiche e numerosi riconoscimenti, parlare di successo è inevitabile. Erica Musci, in arte Erica Mou, ne è consapevole ma continua ad inseguire il suo sogno con una certa dose di umiltà e con la stessa passione che l’ha vista dedicarsi sin da bambina alla musica. Che, per lei, è ormai parte della sua vita. E di una carriera che sembra essere destinata ad arricchirsi continuamente. Tra album, progetti e live in tutto il mondo, nel suo cuore è sempre presente la sua terra, la Puglia. “Do you like” l’ha  incontrata a Barletta all’interno del laboratorio urbano “Giovani open Space”. Lì Erica ci ha parlato del suo rapporto intenso e passionale col mondo della musica.

erica

 

Quali sono, secondo te, gli ingredienti del tuo successo?

Penso che sia il lavoro che ti porta a raggiungere degli obiettivi. Indubbiamente ci sono altri fattori, tra cui la tempistica che è comunque importante. Ma il lavoro resta fondamentale: sogno di suonare da quando ero bambina quindi ogni passo che faccio lo sento molto collegato a quello precedente. Proprio questa costanza di non voler fare altro nella vita ti porta a realizzare quello che vuoi.

 

Quando e come hai cominciato a fare musica? Qual’è stata la svolta che ti ha aperto le porte del grande pubblico?

Ho cominciato piccolissima: a 5 anni studiavo già canto, ad 11 ho cominciato a suonare la chitarra e, intorno ai 14 anni, ho iniziato a scrivere canzoni. Dal punto di vista professionale, è stato importante l’incontro, durante gli anni del liceo, con Marco Valente. Con lui, che ha apprezzato le mie canzoni, abbiamo cominciato a realizzare piccoli concerti, a partecipare a concorsi fino alla firma con l’etichetta di Caterina Caselli.

Una parte di me non ha mai creduto che la musica non sarebbe stata il mio lavoro. Poi sono gli  eventi, le circostanze, il  destino e naturalmente l’influenza della propria bravura a determinare a che livello puoi arrivare a farlo. E questo ce lo diranno gli anni. Sicuramente per me ‘incontro col manager, Marco Valente, ha segnato una svolta: finché sei solo tu che hai nella testa la volontà di realizzare un sogno, non sai se potrai farcela. Poi quando incontri qualcuno che, lavorando nel mondo della musica, decide di investire su di te, comprendi che si sta concretizzando un sogno. Ancora più importante è stata la telefonata di Caterina Caselli, un incontro quasi shoccante.

Quali sono gli artisti, le sonorità che hanno influenzato le tue produzioni? 

Quando ho cominciato a comporre, ascoltavo delle cose che oggi sembrano insospettabili. Da bambina scrivevo canzoncine, le prime produzioni più interessanti sono arrivate intorno ai 14 anni quando ascoltavo gli Iron Maiden: ero un piccola adolescente, metallara triste(dice sorridendo, ndr). Comunque ho sempre avuto nel cuore tutti i cantautori italiani che ascoltavano i miei genitori come Guccini, Fossati, Battiato e Battisti. Loro si sono sedimentati dentro di me. Da adolescente, ho cominciato a scoprire il rock negli anni ’70. Quando ho cominciato a lavorare nel mondo della musica, mi sono avvicinata alla sperimentazione.

Sin dal primo album, Bacio ancora le ferite,  troviamo pezzi acustici e melodici a fianco di brani con contaminazioni rock ed elettroniche, forse una delle caratteristiche delle tue produzioni è la tua trasversalità. Ti riconosci in questa definizione?

Certo, perché la trasversalità significa essere umani. Nessuno di noi si appiattisce in una definizione, in una dimensione unica. A volte si resta più fedeli all’immagine che si vuole costruire di sé stessi che alla propria personalità. Ma siccome ognuno di noi ha al suo interno mille nature, è bello tirarle fuori. Questa, però, non è una strada che paga: la gente, infatti, vuole avere di te una percezione legata ad un solo genere. Invece, bisogna avere la curiosità di ascoltare, di scoprire musica.

Quanto c’è, invece, delle tue esperienze personali nei testi delle canzoni?

Tutto. Vi racconto un aneddoto. Una volta una cugina di mia madre ha detto: “Mi piaccio tantissimo le canzoni di Erica così scopro tutti i fatti suoi!”. Ed è effettivamente così. Anche se voglio trattare un pensiero più profondo, slegato dalla quotidianità, parto sempre da qualcosa che ho realmente vissuto. Da immagini che ho visto o che mi sono proiettata nella mente: sono proprio i fatti miei. Infatti, nelle interviste, parlo raramente della mia vita personale perché gli episodi sono tutti raccolti nei miei testi.

Dopo la prima uscita, sono arrivati i grandi appuntamenti: il concertone del Primo maggio a Roma, i Wind Music Awards, l’Heineken Jaminn’ Festival, gli Mtv Days a Torino e l’Hit Week Festival negli Stati Uniti. Poi le esperienze all’estero tra cui quella allo Sziget in Ungheria, uno dei più importanti festival di musica internazionale. Come è stato l’impatto in eventi con migliaia di spettatori. Cosa hai provato? Hai trovato delle differenze nell’esibirti davanti ad un pubblico italiano piuttosto che dinanzi a spettatori stranieri?

La differenza c’è. Innanzitutto è tua, psicologica. In un concerto in Italia, il pubblico ha idea di ciò che sta vedendo, una parte di loro canta. Pertanto sai che c’è una base di rapporto con chi ti sta seguendo. Quando, invece, suoni all’estero, non puoi aspettarti che ti conoscano. A quel punto, senti come se fosse il primo concerto della tua vita. Perché devi conquistare le persone da zero solamente con la tua musica e le tue performance. Molto dipende dal background culturale. Allo “Ziget”, dove suonare per me è stato quasi un sogno, abbiamo riscontrato una apertura imprevista verso la mia musica: avevamo portato dieci dischi, li abbiamo venduti tutti e, agli altri ragazzi, abbiamo dovuto dare delle cartoline. Soprattutto i danesi si sono dimostrati interessati alle mie produzioni.

Come è nato il secondo album, segnato dalla collaborazione con Valgeir Sigurosson, già collaboratore di Bjor. Quanto è stato importante l’incontro con Caterina Caselli e la Sugar Music per cui hai prodotto l’album?  Qualcuno ti ha definito la “Bjork” italiana, che ne pensi?

E’ una definizione pesante, bella “tosta”. A prescindere dal giudizio che si può avere di Bjork, è una figura che ha smosso l’universo femminile. Dopo di lei, è uscita allo scoperto una schiera femminile di cantanti nordeuropee che prima erano un po’ nascoste. Una cosa che potrei avere in comune con lei è la voglia di cambiare nel modo di vestire le canzoni: da un disco all’altro questo aspetto emerge.

Nel 2012 hai partecipato a Sanremo nella sezione “social” arrivando terza con il brano “Nella vasca da bagno del tempo” e collezionando vari premi.  Per te la manifestazione sanremese è ancora un punto di riferimento per la musica italiana?

Diciamo di sì. Certo,non è il festival dei nostri sogni, non rappresenta a pieno ciò che vorremmo vedere in televisione. Ma resta l’unico programma musicale che ha una grande risonanza in Italia: bisognerebbe sostenerlo invece che maltrattarlo. Sono contenta quando gruppi per noi mitici, come accadrà in questa edizione con i Perturbazione, riescono a raggiungere il palco dell’Ariston. Da bambina sognavo Sanremo, per me la settimana sanremese ha rappresentato un momento gratificante della mia carriera. Si dovrebbe avere la capacità di riportare all’interno di questo festival qualcosa di fresco.

Lo scorso 28 maggio è uscito il tuo ultimo lavoro, “Contro le onde”: nei testi, a partire dal titolo stesso dell’album, c’è un riferimento al mare della Puglia, della nostra terra? 

Il disco è un omaggio al mare. Ne ho sempre parlato così come della mia terra. Il mare lancia un invito a ritrovare la libertà, ad oltrepassare i limiti e gli empisse che ti tengono ancorati alle certezze, ad andare oltre contro le difficoltà rappresentate dalle onde contro cui tutti nella vita ci infrangiamo.

 La collaborazione con Boosta dei Subsonica segna, ancora di più, la voglia di sperimentazione ed apertura verso l’elettronica?

Boosta mi ha dato una bella mano perché mi ha trattata male. Mi diceva tutto ciò che pensava delle mie canzoni, si è immerso realmente nel disco. Da lui ho imparato la sincerità e la libertà: certe volte ti senti bloccata, durante le esperienze, da mille schemi mentali, lui mi ha dato libertà di esprimermi come volevo. Sicuramente ciò che amo di più dell’album sono le tracce vocali che rispecchiano le mie intenzioni: abbiamo voluto sperare che, almeno riguardo le voci, l’ascoltatore si sentisse all’interno di un concerto.

Dal “concept album” viene estratta una traccia, “Dove cadono i fulmini”, che Rocco Papaleo decide di inserire nella colonna sonora del film “Una piccola impresa meridionale”. Che effetto ti ha fatto ascoltare una tua traccia all’interno di una pellicola curata da un grande attore, scenografo e regista?

Rocco è un mondo, una persona fantastica, l’artista con idee semplici ma davvero comunicative. Il titolo, poi, rispecchia la nostra vita e le tematiche del mio ultimo album. Come prima cosa, penso si sia innamorato della canzone: quando l’ha ascoltata, non si sapeva fosse mia ma io non l’avrei scritta e lui non avrebbe fatto quel tipo di film se non provenissimo entrambi da una realtà meridionale. Il film, come la canzone, parla di oltrepassare i limiti. Il pezzo gli è piaciuto molto: ha inserito una versione acustica nel film e ha deciso di girare il videoclip della canzone nel ruolo sia di regista che di attore.

Progetti futuri? 

Suoneremo, credo fino all’estate, “Contro le onde” in giro. E poi ci sono un po’ di progetti: sto continuando a scrivere con costanza e non vedo l’ora di lavorare per nuove produzioni. C’è anche qualcosa legata al cinema ma non dico altro.

 Luigi Lupo

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