INTERVISTA – Carlo Pastore e “Babylon”, lì dove “tutto brucia”

Intervista a cura di Luigi Lupo

C’è chi lo ricorda come conduttore di Trl, famoso format televiso andato in onda su Mtv, al fianco di Elena Santarelli prima e Elisabetta Canalis, o chi è rimasto affascinato dalla sua voce e dalla capacità di suonare una chitarra nei “Wemen”, gruppo post-punk/reggae da lui fondato. Oppure c’è chi si è goduto il suo documentario, “Volevo essere Michael Jackson”, prodotto per Rai 4, o chi ha vissuto momenti eccezionale in compagnia degli artisti del “MI AMI Festival”, evento di cui è direttore artistico e responsabile della comunicazione. E poi ci sono tutti coloro che, ogni venerdì e sabato dalle 22 , abbandonano i pensieri di una lunga giornata lavorativa, si collegano sull’emittente Rai Radio 2 e trovano pace e la giusta carica per il weekend con la musica, le parole, le emozioni che sa offrire “Babylon”.  Insomma, per Carlo Pastore, classe ’85non c’è bisogno di ulteriori presentazioni. Per il conduttore radiofonico, musicista e dj parlano le sue numerose esperienze sempre al fianco della musica. Che ama ascoltare, scoprire, produrre e diffondere.  Carlo Pastore ha parlato del format “Babylon” e di musica a 360° con Doyoulike.org.

Babylon – così come presentato sul sito ufficiale -è un format dove si incrociano tutti i generi musicali, caratterizzato da una costante ricerca. In un periodo in cui la maggior parte della musica viene divorata, e a volte non gustata, in maniera rapida tramite Youtube, Spotify e i social network, qual è il ruolo di un programma radiofonico?

In Italia esistono pochi programmi musicali puri, perchè funziona più la radio di parola, in cui si chiacchiera spesso di niente e si “fa compagnia”. Babylon è un programma invece dove le parole stanno a zero e parlano le canzoni stesse. Non so dirti che ruolo abbia, so dirti che obiettivi si pone: unire la ricerca all’intrattenimento, il piacere alla cultura; fornire una finestra contemporanea su quello che è la musica nell’anno 2014 senza voler essere un “famolo strano” a tutti i costi. Come sempre nella mia carriera, trovo interessante spingere e supportare realtà che trovo potenzialmente interessanti, aiutandole a crescere. Dentro Babylon convivono molti linguaggi, da qui il nome, e tutto brucia.

 mi-ami-ancora-su-radio-2-ghemon-liveCome è nato “Babylon”?

E’ nato dalle rovine di Traffic, un programma di parola quotidiano che diciamo non considero un grande successo… Volevo fare qualcosa di musicale, tornare alle mie origini dopo la sbornia di tv generalista. Mi ero accorto di essere andato troppo lontano da chi sono e cosa mi piace fare. Radio2 mi disse: “ti va di occuparti di un programma di musica elettronica”? Io risposi: “si, a patto che mi diate una puntata in più in cui far suonare la gente live”. Così è nato questo mostro a due teste, in cui convivono gli opposti, in cui le contraddizioni sono fertili.

Nel corso delle puntate, hai avuto modo di intervistare artisti o band di grande livello. Ricordiamo, tra le più recenti, quelle ai Metronomy o Darkside. Qual è l’intervista di cui sei più orgoglioso o quella che ti ha regalato maggiori emozioni?

Vorrei elencare tre incontri, che hanno a che fare più con l’impatto emotivo della conoscenza umana che con il fattore musicale in sé: 1) Wu Tang Clan, l’anno scorso a Milano, seduto attorno ad un tavolo con Raekwon in ciabatte e Ghostface Killah con una mazzetta di banconote da 5€ e 10€, sono stato catapultato cinematograficamente nella NY degli anni ’90 e nella storia del rap; 2) Liam Gallagher, un’unica vera enorme rockstar che, pulita da ciò che i media gli hanno costruito attorno, si trasforma nel compagno di bevute che vorresti sempre avere con te al pub; 3) Paul Simonon dei Clash, a petto nudo, con trent’anni precisi più di me sulle spalle, fisicamente mi dava biada.

Parlando di musica, che momento sembra essere quello attuale per l’hip-hop italiano?

Mi sembra eccellente direi. L’Italia è un paese che arriva sempre tardi, ma quando arriva si accende di quell’entusiasmo che solo i giovani hanno. Ora che la bolla commerciale è un po’ esplosa, si ristabiliranno meccanismi più “normali” e altri fenomeni teenager prenderanno il loro posto.

Per il panorama indie, invece? Quali sono i nomi, tra le ultime novità, i nomi che più ti sorprendono?

Sorprese, non molte. Ci sono band che hanno seminato negli scorsi anni e ora stanno giustamente raccogliendo. Ma di cose buone ce ne sono molte, e sono tutte al MI AMI Festival, di cui curo il cartellone, 6-7-8 giugno 2014 a Milano! 🙂

Stessa domanda per l’elettronica…

L’elettronica in Italia ha una energia pazzesca: artisti che interagiscono fra di loro e molti acts che spaccano. Mi piacciono Casa del Mirto, Did, Go Dugong, Jolly Mare… vien facile citare gli amici.

In Italia, secondo te, c’è realmente possibilità per chi vuole fare musica, o comunque impegnarsi in ambito artistico/culturale, di esprimersi liberamente, di realizzare i propri progetti?

La libertà è totale. Sicuramente mancano strutture in grado di valorizzare gli artisti, e chi sceglie di lavorare nell’ambito artistico/culturale spesso deve fare fatica e rinunce. Ma d’altronde bisogna pur andarsele a prendere le cose, no? Certamente mi piacerebbe più attenzione e rispetto delle istituzioni, ma vorrei altrettanto un paese in cui la musica fosse meno legata agli ambienti conservatori della sinistra, dall’assistenzialismo, una musica più laica, con operatori in grado di fare business, che poi vuol dire semplicemente creare sostenibilità, pagare stipendi, investire sul prodotto.

Nell’ampio panorama dei festival, quello che più apprezzi e quello che pensi stia perdendo qualità o appeal?

Ci sono molti eventi nuovi belli. Non parlerò di quelli che non mi piacciono o che sono gestiti da brand. A parte il MI AMI, che compie quest’anno dieci anni, credo stian facendo un bel lavoro Ypsigrock in Sicilia, Dancity a Foligno, Club To Club a Torino… L’Italia è un paese giovane per i festival, mi disse una volta Davide Toffolo; dopo averlo guardato male, devo oggi dargli ragione.

Come è cambiato il modo di fare critica musicale con l’avvento di internet, dei blog e delle webzine?

Non sono un grande esperto e fan della critica musicale, ma è sicuramente cambiato moltissimo. Con l’ascolto in streaming dei dischi, si è persa la centralità del filtro critico: chiunque si fa la propria recensione, che poi non è una recensione ma una semplice opinione. E qui si spiega come, parallelamente, molti ascoltatori si siano trasformati in “critici”, coltivando spesso un orticello che non dando remunerazione economica chiede perlomeno un rimborso d’ego. Ho letto recensioni del disco del mio gruppo Wemen che mi hanno fatto rabberciare, per incompetenza e incapacità di scrittura, ma va bene così. Internet è un regalo di dio.

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