INTERVISTA – Livia Ferri, liberare la sincerità nelle canzoni

a cura di Luigi Lupo

Livia Ferri è sicuramente una rivelazione nel panorama delle cantautrici italiane. Anche se il suo stile, la sua voce hanno molte influenze nel folk di matrice americana. Non a caso, le sue canzoni, profonde e impegnate, sono scritte in inglese.  “Taking care”, suo primo album, ha messo in mostra una sensibilità non indifferente: le esperienze personali si trasformano in melodie ammalianti e coinvolgenti.  In autunno, uscirà il nuovo album finanziato tramite una campagna di crowfunding.

Come e quando hai cominciato a fare musica?

La prima chitarra me la regalò mio padre quando avevo nove anni, ma da lì di tempo ne è passato! All’inizio imparavo ad orecchio le canzoni che mi piacevano e provavo a farle…poi dopo il liceo ho cominciato a studiare musica e dopo un anno sono entrata nel mio primo gruppo. Iniziammo facendo cover r&b, io ero chitarrista e corista. Poi col tempo diventò un gruppo di musica originale, scrissi un paio di brani. Dopo quell’esperienza cominciai a scrivere da sola appena iniziato il corso di songwriting nella scuola che frequentavo, la maggior parte dei brani del primo disco ‘Taking Care’, nasce così, per esercizio…!
Quali sono le influenze musicale che hanno accompagnato la tua crescita musicale e il background dietro le tue produzioni?
Amo il folk e una certa frangia dell’indie, Ani diFranco, Feist. Queste sono le sonorità più vicine alla mia identità espressiva. Nella produzione ho cercato di coinvolgere tutti e di far ascoltare queste cantautrici perché volevo un suono che si avvicinasse a quel tipo di espressione.
Sei italiana, ma le tue canzoni comunicano in inglese. Trovi questa lingue più adatta al tuo stile musicale e alle storie che vuoi raccontare?
Più che alle storie, sì allo stile musicale…l’inglese è una lingua molto diretta e minimale, o almeno è facile farne questo uso. E’ molto versatile, rispetto all’italiano, la metrica facilita e si adatta bene a molti stili e di sicuro al mio! Sto provando a scrivere in italiano ma non è affatto facile scegliere il suono giusto per una frase che sia altrettanto diretta ed espressiva. In italiano sono molto più prolissa, ho difficoltà ad essere diretta e incisiva, invidio i cantautori come De Andrè che riuscivano a dire qualcosa di profondo e complicato in modo semplice e con un paio di frasi, mentre io impiegherei pagine e pagine e alla fine lo direi male…!
Come nascono le tue canzoni?
Ognuna a modo suo…Spesso parto da un giro armonico che mi ispira e mi parla già di qualcosa, ma contemporaneamente quando mi vengono in mente delle frasi me le segno. Poi col tempo, con lo schiarirsi delle idee e l’arricchirsi del bagaglio creativo metto insieme tutto…
Dove e in che modo trovi l’ispirazione per buttare giù i tuoi brani?
Dove? Credo da qualche parte dentro di me. Il luogo fisico non ha troppa importanza. Diciamo che cerco di stare da sola quando voglio scrivere, ma non sempre decido che adesso voglio scrivere, a volte le frasi mi vengono in mente a caso e cerco di segnarmele dove posso. L’ispirazione cerco di prenderla dalla vita di tutti i giorni, da quello che mi succede dentro e fuori, dai rapporti con le persone, dal modo in cui i rapporti e le esperienze mi cambiano dalla vita!
“A Path made by Walking” è il prossimo album, in uscita completa a novembre 2015. Quali sono i punti di contatto e di divergenza, nello stile musicale e nei testi, tra questo e il tuo primo lavoro, “Taking care”?
Dunque dunque….per quanto riguarda i testi in questo nuovo album sono riuscita ad essere molto più diretta. Mi sono buttata in una sincerità che nella vita di tutti i giorni faccio fatica a liberare e ad accettare; scrivendo ho capito che non devo edulcorare nulla, anzi. Più riesco ad essere onesta con me stessa, più mi avvicino alla verità di quello che sento più il brano si arricchisce. Poi magari sbaglio nelle mie considerazioni, ma non importa, è come una fotografia: magari non è quello in cui credo in assoluto, magari è solo un momento, ma è importante descriverlo e parlarne con sincerità, per quanto io possa cambiare idea più tardi. Se quel momento lo vivo in un certo modo allora è così che ne devo parlare. Anche lo stile musicale è molto più coincidente con chi sono. Come dicevo all’inizio dell’intervista il primo disco è formato da canzoni scritte quasi per esercizio, che poi in fase di arrangiamento hanno subito l’influenza e il tocco di varie persone a cui mi sono affidata essendo il primo disco che facevo. Non sapevo dove mettere le mani. Non è che ora sappia molte più cose, ma so anche qui che è importante essere sincera e fare le cose a modo mio. Se non esprimo chi sono non ha senso farlo! Quindi mi sono un po’ allontanata dal suono pop e dalle regole strutturali del pop e ne sono molto felice perché mi riconosco e mi sorprendo di riconoscermi.
L’album nasce grazie anche ai finanziamenti provenienti da una campagna di crowfunding. Pensi che questa sia una possibilità importante per gli artisti e per chi ha voglia di fare musica?
Sì, assolutamente. E’ stato bellissimo farlo. Tanti artisti lo usano per raccogliere fondi da investire nell’organizzazione di un tour e credo sia una grande idea. Organizzarsi da soli un tour è una cosa molto complicata, su cui temo di rischiare di impazzire definitivamente oltre al fatto che non ho i fondi per farlo, quindi non escludo di utilizzare di nuovo il crowdfunding per questo scopo!
Ogni traccia dell’album uscirà dilazionata dalle altre a distanza di 45 giorni. E’ una scelta per affermare lo sviluppo graduale del concept del lavoro?
Sì, è un modo per accompagnare il pubblico e farci accompagnare. Per rivivere insieme l’album brano dopo brano, attraverso un percorso che ha un senso, un senso cronologico, un percorso di cambiamento. Questa scelta viene anche dal bisogno di invitare le persone a prendersi il loro tempo. Ad ascoltare una volta tanto un disco intero. Ad intraprendere un viaggio senza fretta, con la voglia e la possibilità di riflettere su noi stessi, riflettere e riconoscersi. Riconoscere sé e conoscere, in questo caso, me.
Che riscontro hai ricevuto nei live in cui ti sei esibita?
Beh, dipende da serata a serata e dalla mia esperienza che cresce…Posso dire che da un anno a questa parte non posso proprio lamentarmi di nulla! Sono contenta di come il pubblico reagisce e soprattutto di come ha voglia di parlarmi dopo il concerto, ho avuto occasione di scambiare tanto con tante persone ed è uno degli aspetti più importanti di questo mestiere, di questa vita. Quando questo accade sono felice e so che sto andando nella giusta direzione.
Che opinioni hai del cantautorato italiano dei giorni d’oggi. Quali nomi segui e apprezzi con particolare interesse?
Mi piace molto Wrong on You, che ha appena vinto l’Arezzo Wave Festival e che seguo da un po’, ormai. Seguo anche Dap che farà uscire entro quest’anno il primo EP e non vedo l’ora e Armaud, anche lei sta incidendo. C’è poi Thony con cui ho avuto la fortuna di suonare nel tour Birds. E Mimes of Wine, bolognese che vive a LA. Non mi entusiasmo facilmente, anzi…ma questi artisti mi hanno commossa, ognuno a modo suo, e li seguo con stima e molto piacere. La differenza tra questi artisti e il resto è che da loro traspare una sincerità. Quando sono sul palco e li senti cantare e suonare è evidente che sono lì per raccontarsi e per scambiare emozioni ed esperienze con te. Gli altri sono sul palco per essere sul palco, e questo non mi ha mai affascinata né commossa e mai lo farà.