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INTERVISTA – LUCIA MANCA: l’oscurità è un animo da indagare
a cura di Giorgia Groccia
A distanza di sette anni Lucia Manca ritorna a calcare le scene con un solo vero obiettivo: stendere abilmente una tela intessuta da filamenti di sensazioni forti, contrastanti e immagini suggestive, ripercorrendo nella memoria un’Italia che stentiamo a ricordare, ma che al tempo stesso esiste e diviene reminiscenza e carburante identificativo di chi siamo oggi e chi siamo stati un tempo. “Maledetto e Benedetto”, prodotto da Matilde Davoli, fuori dal 4 maggio 2018, è tutt’altra musica rispetto al precedente album della Manca. Se nella versione meno aggiornata della cantautrice vi erano scenari bucolici rock folk e una voce differente, in questo album ritroviamo il substrato reale dell’artista con delle contaminazioni anni ottanta riconducibili agli anni d’oro della Berté e via dicendo.
Apre l’album un brano, Bar Stazione, il quale implica al principio una vera e propria polaroid intrisa di suoni sintetici-in pieno stile synth-pop- i quali però vengono rivestiti di modernità e al tempo stesso lasciando gran spazio all’immaginazione. Possiamo immergerci in una tinozza ridipinta da cartelloni pubblicitari, quelli antichi che mostrano la città bagnata dalla pioggia la quale aleggia e ricostruisce desideri, oscurità, passione e disillusione. Le stazioni rappresentano la croce naturale che si forma-come in quel gioco nel quale bisogna unire i puntini-tra il nome del pezzo, il testo e gli altri brani: perché si sa che le cose migliori avvengono mentre si aspetta il regionale annunciato agli auto-parlanti. E così via l’album ripercorre i temi emblematici richiamati a gran voce nel titolo, l’amore al microscopio smembrato e spogliato da ogni sovrastruttura, quell’amore che è sempre giusto anche quando gli altri dicono che è sbagliato, la malinconia respirata in pezzi come Al posto tuo, e l’universalità ballabile di brani come Maledetto. Si chiude in bellezza con Settembre, che- proprio come il mese di cui porta il nome-raccoglie la fine dell’estate e dell’album, permettendo l’inizio di ciò che il futuro riserverà. Emblematico.
Lucia Manca ci ha regalato le sue abilità fotografiche mostrandoci ciò che lei, con la sua sensibilità artistica, riesce a vedere negli oggetti, nel mare, nell’estate italiana, nel marciume del mondo che conserva un fascino non appartenente alle cose luminose, né tanto meno a quelle illuminate.
Noi di Doyoulike.org abbiamo chiacchierato con lei e questo è il risultato:
Il tuo ultimo album si intitola “Maledetto e Benedetto”, come mai?
“Sono le due facce della stessa medaglia, un po’ come quando viviamo qualcosa che ci ha fatto stare bene e male come ad esempio un rapporto finito: io faccio sempre l’esempio dei farmaci in questi casi. Ci sono degli sprazzi belli che a lungo andare si rivelano inevitabilmente brutti a seconda delle circostanze. Dei momenti che ami alla follia ma che alla fine si trasformano in situazioni dolorose.”
Il tema trattato è senza dubbio l’amore sotto ogni punto di vista. Ma cos’è davvero l’amore per Lucia?
“Guarda in generale quando scrivo dei pezzi non mi piace far trasparire un significato ben preciso dalle canzoni. Mi piace lanciare degli input che poi ognuno può interpretare dal proprio punto di vista. Ogni canzone è una prospettiva con dei temi che possono riguardare l’amore, ma non è inteso necessariamente come rapporto di coppia, ma anche altri cambiamenti che possono essere volontari e involontari come l’assenza, la mancanza e i ricordi che comunque si trovano nei miei pezzi. L’amore è il co-principale della vita, conferisce quella marcia più per affrontare l’esistenza, ecco perché io sono dalla parte dell’amore universale in tutti i sensi.”
Quanto di autobiografico c’è nei tuoi brani?
“Non tanto in questo album, forse qualcosina in più dal punto di vista iconografico- ho fatto un lavoro che va molto per immagini, tutte quelle che sono riuscita a recuperare dalla mia mente. Io ad esempio sono qui in Puglia e la maggior parte dei pezzi che ho scritto gli ho scritti nella mia casa al mare quindi vivo a pieno questi posti un po’ in stile anni ottanta, da cui mi sono lasciata ispirare e condizionare.”
Il tuo album racchiude sonorità che riecheggiano un’Italia a sfondo anni ottanta, con non poche contaminazioni tra diversi generi e stili come ad esempio il nu/soul americano. Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?
“Ho come esempio il cantautorato italiano dagli anni sessanta agli anni ottanta. Sono cresciuta con Mina se parliamo di cantanti femminili, ma anche Battisti, Endrigo, Bindi, insomma tutti cantautori e cantautrici che mi hanno accompagnato nel corso della vita, tutti artisti che ascoltavo con i miei genitori. Poi con il passare degli anni ho iniziato ad ascoltare un po’ di tutto, ma sono molto legata alla nostra tradizione musicale.”
Cosa è cambiato dal tuo precedente album a questo?
“Sono cambiate tantissime cose sia a livello di scrittura, perché è divenuta meno sognante e meno fiabesca rispetto al disco precedente, ma anche a livello di suoni perché il primo disco era più acustico, molto all’Emiliana Torrini per intenderci. Ma è cambiato anche il mio approccio nei confronti della musica perché sono passati tanti anni, sette per la precisione, e sono successe così tante cose che mi hanno cambiata dal punto di vista personale ma anche dal punto di vista artistico, che sono cresciuta anche io in questi anni. Ho lavorato molto sulla mia voce, e mi sono resa conto che ciò che avevo costruito prima a livello vocale anche con gli studi di canto è crollato fortunatamente, e le esperienze vissute hanno fatto uscire in me credo la mia vera voce e la mia vera personalità. Finalmente mi sento me stessa. Riascoltandolo adesso il mio vecchio album mi imbarazza tantissimo, sento questa voce timida e fanciullesca, quando attualmente diciamo che sono tornata alle origini: quando ero ragazzina la mia voce era molto più simile a quella di adesso, poi nel percorso della vita, con le influenze delle mode, cerchi di voler fare qualcosa che ti piace, cerchi ispirazione in un artista a cui aspiri in quel periodo. Il mio vocione profondo che avevo all’inizio ha subito mutamenti come se avessi costruito una patina sulla mia vera personalità vocale. Quindi anche gli insegnanti di canto influiscono perché impostano ripulendo la personalità dell’artista. Dopo aver appreso le tecniche vocali si ha bisogno della ricerca personale per essere completi.”
Spesso nelle tue canzoni vi sono riferimenti pratici e scenari ben precisi che parlano e raccontano di città e luci al neon. Sei originaria di Lecce, ma quanto c’è della tua città nei tuoi brani?
“Della città non tanto perché io vivo in un paesino in provincia di Lecce, che è molto piccolo rispetto alla città. Come dicevo prima mi hanno influenzato ed ispirato tanto dei particolari come ad esempio i colori del mare e della mia casa. Anche i viaggi che ho fatto in questi anni hanno influito molto. Poi c’è lo zampino di Matilde Davoli, la quale ha arrangiato e curato tutta la direzione artistica del disco e insieme a lei ho cercato di portare il mondo sintetico degli anni ottanta in un contesto cantautorale con dei suoni attuali.”
La tua poetica è sicuramente dedita verso la descrizione dei frangenti anche meno luminosi che fanno parte dell’essere umano. Prediligi il chiaro o l’oscuro nelle persone?
“Prediligo l’oscuro, ho questo approccio perché mi affascina molto l’oscurità che c’è nelle persone; dietro quell’oscurità e quel buio c’è una storia profonda. Preferisco la parte maledetta.”
Cosa pensi di tutto il fermento cosiddetto “indie” o “it-pop” nel panorama discografico odierno nel nostro Paese?
“Credo che siano cambiate parecchie cose nella musica italiana, soprattutto nel panorama indipendente, credo che ormai sia mainstream e non più totalmente indipendente. I cantautori che facevano parte della scena undegraund ormai hanno preso il sopravvento ed è assolutamente una bella cosa. L’unica cosa che mi dispiace è aver visto che la maggior parte degli artisti sono uomini, e ci sono poche donne. Però si sa per la donna è sempre un po’ più complicato farsi strada, anche nel campo musicale, però penso che a prescindere ci sia un bel fermento, ci sono molti artisti che io apprezzo, anche se mi piacerebbe vedere più donne.”
Cosa pensi del dislivello numerico tra cantautori e cantautrici sia a livello storico sia nel panorama del 2018?
“Penso sia una questione di pubblico, di ascoltatori anzi di ascoltatrici. Perché la maggior parte delle ascoltatrici sono donne quindi si immedesimano nelle protagoniste delle canzoni e per questo prediligono una scrittura maschile che è differente da quella femminile. È una domanda che mi faccio da tempo, da anni, e non solo in campo musicale ma in generale in ambito lavorativo. Non ho ancora trovato una risposta a dire il vero. Spero che con gli anni ci possano essere più artisti e più cantanti femminili. Negli anni settanta e ottanta nella scena musicale le donne erano parecchie. Forse oggi si investe poco sulle donne.”
Con chi faresti volentieri un featuring?
“Io adoro fare featuring quindi ho sempre collaborato con tutti, con Popolus, Jolly Mare, e via dicendo. Mi piacerebbe collaborare, se c’è un rispetto reciproco una stima nei riguardi dell’altro musicista io sono aperta alle collaborazioni. Di preciso non ho un nome particolare in questo momento.”
Quali progetto hai per il futuro?
“Sto cercando di scrivere subito cose nuove perché non voglio far passare troppi anni. Spero che esca il prossimo disco entro due anni massimo. Sto cercando di lavorare immediatamente al nuovo progetto, anche se non mi piace fare troppi programmi e progetti perché ogni volta che ho tentato di farne non è mai andato in porto nulla. Mi concentro sulla giornata e su ciò che devo fare nell’immediato. Spero di portare in giro il disco live, questo è il progetto imminente. Non voglio torturarmi l’anima con quello che dovrò fare nel futuro lontano, per la mia salute mentale preferisco costruire tassello alla volta.”
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