Mazaratee racconta il suo percorso da musicista emergente

A cura di Martina Castronovi e Arianna Semeraro

Mazaratee, nome d’arte di Christopher Serazzi, è un cantautore e musicista torinese. Intraprende la sua carriera da giovanissimo, capisce sin da subito che il palco è il suo place to be. L’11 Novembre è uscito Matilda, nuovo brano di Mazaratee che segna l’inizio di un nuovo percorso musicale cominciato in una delle capitali europee della musica, Londra. La redazione di DOYOULIKE.ORG lo ha intervistato.


Innanzitutto volevamo chiederti il motivo della scelta del nome Mazaratee. Abbamo ascoltato il tuo pezzo Mazaratee on the road pubblicato l’anno scorso ed è innegabile il riferimento all’auto da corsa. Allora ci siamo chieste, perché questo nome?
Mio papà è italiano mentre mia madre è londinese, ma originaria di Barbados. La bandiera di questo Paese ha un tridente sopra similissimo a quello presente sul logo della Maserati. Ho pensato che con “Mazeratee” avrei potuto collegare le mie due origini in un nome solo. Ovviamente ho cambiato il modo in cui si scrive perché sennò… (ride)


Abbiamo letto un po’ della tua biografia. Sei nato e cresciuto circondato dalla musica in quanto anche i tuoi genitori sono attivi in questo settore. Come pensi che la tua famiglia, dunque, ti abbia influenzato nel tuo percorso artistico?
La mia famiglia ha avuto un ruolo decisivo nelle mie scelte musicali. In particolare, le preferenze musicali di mia madre, nera e anglosassone, hanno fatto sì che anche io fossi più orientato verso un certo tipo di musica, quella afroamericana (non a caso scrivo solo in inglese). Fin da bambino posso dire di essere sempre stato circondato da musicisti,colleghi e amici dei miei genitori. La musica per me è sempre stata il pane quotidiano, ogni giorno c’erano contrabbassisti, chitarristi, tastieristi che entravano e uscivano di casa. Oggi è ancora così però adesso che anche io faccio parte di questo mondo, oltre che amici sono diventati miei colleghi.

Come, invece, credi ti abbia influenzato Torino, città piena di festival e concerti?

Qui a Torino io ho iniziato molto molto presto, ho provato sin da subito questa fame di esibirmi. Appena ne avevo l’occasione – che fossero eventi per i boy scout o feste di istituto, salivo sul palco senza pensarci due volte. La città poi è ricca di concerti, festival a cui partecipo frequentemente soprattutto dopo essere tornato dall’Inghilterra. Il mio obiettivo? Andare a più concerti possibili!


È sempre un motivo d’orgoglio vedere dei ragazzi giovani che in così poco tempo riescono a farsi strada in questo settore realizzando i propri sogni, quindi complimenti! Ma, a proposito di sogni, abbiamo scoperto che da piccolissimo hai avuto l’onore di cantare accompagnato da Bobby Mcferrin sulle note di Blue Suede Shoes, uno dei brani più noti di Elvis Presley, la cui immagine, tra l’altro, sembrerebbe avere molti punti in comune con la tua. Vorresti raccontarci qualcosa in più su quell’evento?
In quel periodo avevo appena iniziato ad ascoltare i dischi di Elvis, ne avevo due nello specifico, che ascoltavo in continuazione, da quando tornavo da scuola fino a tardi. Così, i miei genitori una sera hanno deciso di portarmi al concerto di Bob McFerrin. Durante i suoi concerti Bob invita spesso gente dal pubblico sul palco per esibirsi con lui e quella sera ci sono salito anche io. Ai tempi, andavo ancora alle elementari, ero piccolino e non avevo una reale percezione della sua fama e della sua importanza nel panorama musicale e culturale internazionale, avevo solo voglia di cantare ed esibirmi lì con lui su quel palco. Il suo aspetto, tra l’altro, aveva un qualche cosa di familiare, Mcferrin somiglia molto ad alcuni miei parenti dalla parte materna e il suo fare molto amichevole mi ha dato la spinta in più. Ho pensato “mi sento a mio agio con lui, mi sento a mio agio in questo posto”. Ero seduto nella penultima fila in cima dell’auditorium, mi son fatto largo tra la folla e sono salito sul palco! Penso sia stato quello il momento in cui i miei genitori hanno davvero capito la mia passione incoraggiandomi a continuare per questa strada.


Sei stato a Londra a studiare Music Production & Marketing. La capitale inglese, e comunque gli UK in generale sono un ambiente molto florido per tanti generi musicali… Pensi che questa esperienza ti abbia formato dal punto di vista musicale?
Certo, Londra è una città estremamente viva, anche l’attenzione che in Inghilterra danno alla musica dal vivo è dieci volte superiore rispetto a quella che c’è qui in Italia. Laggiù poi c’è una professionalità diversa. La nostalgia si sente. Mi sono trovato molto bene in quell’ambiente e presto infatti penso che tornerò in Inghilterra, dove ho in programma di andare a suonare tra qualche mese. Mi piacerebbe anche collaborare con i miei compagni di università inglesi. Nel frattempo mi tengo in contatto con entrambi i Paesi.


L’influenza inglese si sente in tutti i tuoi brani anche nel brano appena pubblicato, Matilda. Come ti senti dopo l’uscita di questo pezzo, sei soddisfatto?
Decisamente, sono molto molto contento. Questo è un pezzo che io avevo registrato tempo fa e che avevo intenzione di pubblicare prima. Aspettare mi è servito a migliorare la musicalità e a svecchiare quelle parti che non mi convincevano. La mia versione suonava un po’ tanto vintage, allora ho chiamato un mio amico Andi Mancini, perché ero sicuro che lui potesse dare il tocco di magia in più a questa canzone. Mentre ero in Inghilterra abbiamo lavorato a distanza su questo brano, ha richiesto tempo ma ora sono contento di come suona, sono contento di averlo fatto con lui. Non ho dati alla mano per capire come sta andando il pezzo a livello di ascolti ma in questo momento i numeri non mi interessano perché in realtà sto già preparando le prossime uscite quindi l’attenzione è già sui progetti futuri.


Ascoltando i tuoi pezzi si sente anche che c’è uno studio del panorama musicale sia contemporaneo sia del passato, come la citazione di These boots are made for walking che fai in Matilda. È molto interessante anche questo aspetto, racconta molto di te e della tua passione per questo mondo. Per curiosità vorremmo chiederti se hai tre miti inscalfibili a cui ti ispiri.
Tra i miei musicisti preferiti, i tre miti indiscussi rimangono Prince, Lenny Kravitz e Elvis. In generale la musica degli anni ‘50, ‘60, ‘70, ‘80 rappresenta lo stile e le vibes che vorrei riproporre nei miei pezzi.


Abbiamo ascoltato altri brani del tuo repertorio e uno che ci ha colpito in particolare è stato Y do u do this to me? proprio perché ci sono questi giri funky un po’ frizzantini che si discostano dal tuo ultimo brano Matilda. Ritornerai, in tue produzioni future, a questi giri funky oppure intendi continuare un po’ sulla scia di Matilda?
Il ritmo di Y u do this to me? Lo sento mio, tra tutti i pezzi pubblicati direi che è quello che mi descrive meglio e forse quello che mi piace di più ma rimanere solo in quello stile non so… Sicuramente è il modo di suonare che preferisco, appena prendo una chitarra in mano vado a pennate di sedicesimi ed effettivamente quando devo descrivere la mia musica in due parole dico: dance rock.


Vorremmo farti una domanda che ci è venuta in mente sentendoti parlare con questo bellissimo british accent, hai mai pensato di scrivere in italiano oppure preferisci rimanere su questa linea e continuare con l’inglese?
Di recente ho avuto uno spunto per una canzone in italiano, generalmente la musica la sento nella mia testa e la immagino in inglese però può capitare che mi venga una canzone in italiano, qualche tempo fa stavo scrivendo un pezzo metà in inglese metà in italiano con ritornello in francese, può capitare, dipende, a volte può essere una scelta dettata da dal tema trattato o al ritmo. Magari la musicalità di certe parole inglesi non è traducibile in italiano, l’inglese è una lingua molto più rotonda, certo, può essere che a volte non funzioni neanche quella, dipende. In ogni caso lascio aperta questa possibilità.


Sicuramente l’uso dell’inglese ti da anche un approccio diverso con il pubblico che ti ascolta. Cantando in inglese, riesci a raggiungere un pubblico più vasto invece l’ italiano potrebbe limitarti…
Questo è un po’ il mio dilemma attuale, ora sono in Italia e sono a Torino e sto pubblicando canzoni in inglese, è vero che la gente anche in Italia ascolta le canzoni inglesi però solitamente le canzoni inglesi che si sentono in Italia sono quelle degli artisti più affermati. Cantando in italiano mi rivolgerei a un pubblico molto più ampio rispetto a quello attuale. Cantare in italiano potrebbe essere il segreto per aprirmi le porte a tutto un pubblico che in questo momento non mi ascolta. Tuttavia, penso di avere la possibilità di prendere entrambe le strade, non smettere di cantare l’inglese e aggiungere l’italiano.


Siamo arrivati alla fine di questa intervista quindi ti facciamo l’ultima domanda off topic che non riguarda la musica: se tu avessi dovuto immaginare un futuro diverso da quello attuale, un futuro al di fuori dal mondo della musica quale pensi che sarebbe stato?
Per un attimo sono tornato al bambino di 9 anni che il giorno prima di conoscere Elvis avrebbe dato tutto per essere un calciatore, ma adesso proprio non me ne può fregar di meno del calcio (ride). In questo momento direi che se non avessi scelto di essere un musicista mi sarei comunque impegnato in qualcosa di artistico perché mi piace un sacco disegnare, soprattutto se si tratta di vestiti. Nel video di Matilda pubblicato su YouTube compare una bella carrellata di costumi che ho disegnato io.


Interessante, più che un sogno nel cassetto quindi è proprio una passione che a tuo modo coltivi davvero parallelamente rispetto alla musica.
Assolutamente, mi piace il mondo del design in generale. Ad esempio, fatta eccezione per Matilda, anche le copertine dei miei pezzi le ho ideate e realizzate io usando programmi di grafica. Non mi dispiacerebbe poter fare questo anche per qualche altro artista. Io ho un taccuino che mi porto sempre dietro, ovunque vada, da lì partono un sacco di idee. Da lì entrano e poi da lì escono un sacco di progetti…


Delle prospettive molto interessanti, complimenti! Noi ti ringraziamo tantissimo per il tempo che ci hai dedicato, è stato un piacere a fare questa chiacchierata insieme. In bocca al lupo per il futuro!