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REPORT – Quanto avevamo bisogno di TOdays? Molto
a cura di Marika Palumbo
Siamo già stati risucchiati dal lavoro e da settembre, ma ripensando a ciò che è successo al TOdays Festival quest’anno, mi verrebbe da dire solo: “Che bello!”.
Dopo un anno forzato di stop, gli eventi culturali stanno pian piano riguadagnando i loro spazi e TOdays ha deciso di farlo in grande. Come già annunciato da Gianluca Gozzi – direttore artistico del festival – nell’intervista fatta per Doyoulike.org, questa edizione avrebbe superato i confini e guardato al tomorrow. E così è stato.
Il festival comincia con l’arrivo a Torino, alla stazione di Porta Nuova allestita di cartelloni che ricordano perché sei lì – o, nel mio caso, perché sei rientrata prima della fine delle ferie. Il clima è sempre quello malinconico di fine estate ma, diciamocelo, quest’anno c’è stato molto di più in ballo. Organizzare un festival di questo tipo è più che una sfida e ha un valore inestimabile, adesso più che mai.
Nonostante le sostituzioni dell’ultimo minuto dei live annullati per forze di causa maggiore di Arlo Parks, Black Country, New Road e Working Men’s Club, sul palco si sono alternati artisti e artiste nazionali e internazionali, emergenti e affermati. Come sempre al Todays ce n’è per tutti i gusti. Tra gli highlights di questa edizione ci sono sicuramente i Dry Cleaning, esibitisi giovedì 26 agosto, nel giorno di apertura del festival, con tutta la loro carica post-punk e il romanticismo di Andrea Laszlo de Simone, ormai un must degli eventi musicali torinesi.
Durante il live degli I Hate My Village, neo band italiana nata dall’unione di musicisti provenienti dalle band che più hanno segnato la storia della musica nazionale, Alberto – voce dei Verdena – ha invitato il pubblico ad occupare lo spazio sotto il palco. Inutile dire che i fan sono subito stati fermati, ma per un attimo ci abbiamo creduto. Lasciano la scena all’energia dei The comet is coming ealla sonorizzazione de La jetée, il film di Chris Marker del 1962 di Theo Teardo, entrambi per la prima volta su questo palco.
E’ tornato Iosonouncane, questa volta con “IRA”, l’album della svolta artistica di Jacopo Incani. I ricordi migliori di questa edizione della rinascita e della speranza arrivano da un po’ tutti i gruppi chiamati sul palco. Erlend Oye, ormai adottato dalla sua amata Italia, ci ha trasportato con la sua comitiva in una notte di schitarrate in spiaggia, balli a piedi nudi e stelle cadenti. Erlend ballava spensierato sul palco e si trasformava in un cantastorie intervallando i brani con racconti e aneddoti sulla band e sui pezzi.
Motta, tra gli artisti italiani più attivi e apprezzati degli ultimi anni, è tornato sul palco di Todays dopo la sua esibizione del 2016. Nella sua performance c’erano tanta voglia di esibirsi e molta amarezza: “Se qualcuno ha un pallone e facciamo finta che sia una partita di calcio, ognuno può fare quello che vuole”. Un’affermazione che non ha bisogno di chiarimenti e che si direbbe emblematica dello stato dell’industria culturale italiana. Come dargli torto. Inutile dire che, nonostante la sua apprezzatissima evoluzione artistica, e le canzoni dell’ultimo album “Semplice”, ascoltare il brano “La fine dei vent’anni”, forse il più iconico del cantautore, è sempre una pugnalata al cuore. And last but no least: Shame. Senza dubbio, il live migliore di questa edizione in cui, sebbene mantenendo le distanze, nessuno è riuscito a rimanere seduto. L’entusiasmo della band e del loro ritorno in Italia è stato incontenibile. E a noi piace tanto. Per non dimenticare, salutano il pubblico con: “Shame, Shame, Shame, that’s our fucking name”.
Avevamo tanto bisogno di TOdays. Non resta che ringraziarvi, di cuore.