REPORT – SPONZ FEST, rinascere dal sottoterra

a cura di Dario Santo

Per il settimo agosto consecutivo il centro di Calitri e dei comuni limitrofi sono stati teatro del passaggio di Mariachi itineranti, pellegrini della musica e viandanti attratti dalle lamentazioni musicali della Trenodia: un pianto collettivo consumato nella processione di un corteo funebre, che è già opera d’arte.

Dal 19 al 25 agosto l’Alta Irpinia si trasforma e prende nuova vita intorno al centro pulsante di Calitri. Con la prima alba aletrina, Manolis Pappos e Dimitri Mistakidis danno inizio alle danze, per poi ritrovarsi, con il loro Rebetiko incalzante suonato da bouzouki e chitarra, sotto l’Arco degli Zingari circondati da una comitiva di danzatori spontanei. La chitarra di Micah P.Hinson e la sua voce evocativa sembrano trasformare la chiesa che guarda la piazza in un canyon texano, mentre la Banda della Posta, in una miscela di musica locale e balli nuziali, riconnette gli spettatori alla realtà.

Questa cornice accoglie e accompagna il pubblico, lo prepara alle tre grandi serate musicali, scandite intorno alla tematiche della peste del contemporaneo e del sottoterra come luogo di rincascita e ri-creazione.

Il 22 agosto (A pest’), dopo un sentito intervento di Mimmo Lucano, Enzo Avitabile dirige lo spettacolo e accompagna con i suoi Bottari gli spettatori verso una trance cadenzata da ritmi processionali, quasi tecno, ma suonata su botti, catini e falci, riuscendo a tradurre un processo di ricerca del suono in una world music di stampo campano, che mai sminuisce il contatto con le tradizioni. 

Il giorno successivo (A ‘mascarata) la line-up è quanto mai variegata, addirittura anomala e quindi in linea con il festival: la peste contemporanea ha ormai messo a nudo l’uomo dalle convenzioni sociali. Fra maschere, autotune ed emulazioni vocali, Neri Marcorè si muove agilmente fra un’esibizione e l’altra regalando perle di comicità; è suo il compito di aprire le danze e introdurre Enzo Savastano, artista autoctono che spazia dall’indie al neomelodico, allo stesso tempo dissacrante e  fedele alla tradizione della canzone popolare napoletana. Segue poco dopo The Andrè, irriverente, ironico e a tratti toccante, a differenza di molti suoi colleghi reinterpretati sul palco non si affida ad artifici vocali e autotune, ma ad un “Filtro Faber” sorprendentemente naturale. Non poteva mancare la parentesi trap alla direzione di Young Signorino, che calato nel contesto dello Sponz Fest crea un effetto di straniamento quanto mai pertinente e necessario, spiazzante per alcuni spettatori ma decisamente apprezzato da Morgan, che di maschere ne ha cambiate tante, e che performa solitario dopo il trapper, eccentrico e piacevolmente faber-centrico.  La chiusura a notte inoltrata di questa seconda serata è affidata a Livio Cori, rapper partenopeo nonché presunto Liberato, e agli intramontabili Almamegretta Dub Box.

La serata conclusiva (Sottoterra) è condotta interamente da Vinicio Capossela, direttore artistico e sciamano mutaforma, che porta sul palco un “Appening Unico”, totalizzante e catartico, come culmine di questo viaggio nelle viscere della Terra. Ed è davvero sorprendente quello che succede in quasi 6 ore di concerto, che riportano gli spettatori in Grecia con i maestri del Rebetiko e in sud America, con i Mariachi Tres Rosas di Flaco Maldonado, passando per il Texas di Micah P.Hinson. Fra un cambio di copricapo e l’altro, vengono presentati i brani tratti dall’ultimo lavoro dell’artista, Ballate per uomini e bestie, per poi tornare in quell’Italia dalle tradizioni secolari, come raccontano l’Uomo Vivo, accompagnato da Roy Paci e Daniele Sepe, e l’immancabile Ballo di San Vito in chiusura, cadenzato dalle percussioni  ipnotizzanti di Peppe Leone.

E al sorgere del sole le parole di Vinicio risuonano più chiare, come un messaggio di ri-creazione, per “uscire dalla dittatura della semplificazione e concedersi lo sponzamento della complessità”.