CINEMA – Se può essere filmato può essere cantato: “La La Land” di D. Chazelle

a cura di Marina Amoruso

Alzi la mano chi non si è mai innervosito davanti ad una scena caramellata e canterina tratta da un musical a caso, il cui effetto sortito, più che di leggiadra evasione dalla grigia quotidianità , è stato piuttosto di ulteriore amaro disincanto nei confronti di una realtà poco avvezza alla spensieratezza e alle facili e felici coincidenze.

La La Land, nonostante il titolo frivolo, non offre nulla di tutto ciò: si tratta piuttosto di una fiaba moderna a cui nessun under 30 può rimanere indifferente perché, nonostante al centro della storia vi siano le vicissitudini di una giovane coppia, la storia d’amore tra i due passa in secondo piano rispetto alle aspirazioni da attrice di Mia e ai progetti di Sebastian per diventare un pianista jazz tutto d’un pezzo. Diversamente da quanto siamo abituati a vedere in un musical, nel quale il sogno che diventa realtà coincide con l’happy ending ed è sufficiente a sistemare ogni tassello delle vite dei personaggi, in La La Land, molto più realisticamente, esso porta ad una profonda presa di coscienza e a scelte rapide e quasi sempre radicali, perché se non si è veloci o incoscienti abbastanza c’è subito qualcuno probabilmente più determinato e spericolato di te pronto a prendere il tuo posto.

 

In questa intelligente uscita del 2016 (che ha eguagliato il record di candidature agli Oscar di Titanic) c’è tutto ciò che abbiamo già amato nel pluripremiato Whiplash dello stesso regista, tra cui il raggiungimento di un obiettivo personale e il riconoscimento artistico come unico scopo e senso della propria esistenza, da perseguire sacrificando tutto e tutti, senza compromessi così come è il jazz “autentico”, al quale il cineasta statunitense dedica nuovamente una sincera dichiarazione d’amore e alla cui contaminatio con altri generi al fine di svecchiarlo e renderlo appetibile al grande pubblico il pianista Sebastian tenta di opporsi con tutte le sue forze (con buona pace, potremmo dire noi, di gruppi come Jaga Jazzist, Floating Points e BadBadNotGood).

La continuità con il cinema del passato è offerta da numerose citazioni disseminate per la pellicola, e non si parla esclusivamente di riferimenti a grandi successi del genere ma di omaggi indiscriminati alla Golden Age hollywoodiana anche abbastanza espliciti, tra cui la visita al planetario come in Gioventù bruciata e la psicologia dei personaggi che ricalca quella degli indimenticati protagonisti di Casablanca. Il punto di forza di Chazelle sta quindi nell’aver puntato su scelte molto classiche e, tra l’altro, girate alla perfezione (le parentesi musicali in piano sequenza, la fotografia e i colori sempre perfettamente in tinta o in ipersaturo contrasto con la palette di sfumature della golden hour), attenendosi ai canoni del genere piuttosto che prendendo una piega meno convenzionale e volutamente in controtendenza à la Dancer in the Dark di von Trier, riuscendo nell’impresa di alleggerire, senza annullarle, le ansie della Los Angeles che fagocita sogni e giovinezza a cui probabilmente si addirebbero maggiormente i toni più cupi di Mulholland Drive.

 

Un ulteriore tocco di sogno con le radici però ben piantate nella verosimiglianza è fornito dagli splendidi Emma Stone e Ryan Gosling, semplicemente perfetti nei loro ruoli pur conservando la goffaggine di chi non canta e balla di professione, elemento che contribuisce inconsciamente a non alimentare l’incanto e l’illusione di qualcosa che nella realtà non potrebbe mai accadere.

 

Insomma, che (il musical) vi piaccia o meno, La La Land è, sotto ogni punto di vista dal quale lo si voglia analizzare, il film dell’anno.