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REPORT – Movement Music Festival, la Torino elettronica in splendida forma
a cura di Luca Tarantini
Il 31 ottobre scorso, nella notte di Halloween, è tornato l’appuntamento targato ‘Movement Torino music festival’, fratellastro dell’omonimo ‘Detroit Eletronic Music Festival’ che si svolge da 15 anni ormai nella città madre delle Techno e capitale del Michigan.
Il fratellastro torinese giunto ormai alla XX edizione è ormai un punto di riferimento della scena musicale elettronica italiana che richiama un numero sempre maggiore di fan provenienti da tutta Italia e non solo. Svoltosi nella maestosa location carica di storia di Lingotto Fiere, polo fieristico del capoluogo piemontese ed ex fabbrica industriale della Fiat, il Movement quest’anno si è superato, mettendo da parte le diverse critiche mossegli negli anni precedenti. 12 ore di musica, dalle 18.00 alle 6.00, per tutti i gusti con ben cinque diversi stage, dal sound più ricercato e a tratti leggendario del “House stage” battezzato anche ‘The House that Chicago built’ data la presenza di leggende come ‘Lil Louis’ e ‘Robert Hood aka Floorplan’, ai due main stage “Kappa” e “Movement” contenitori di un suono più mainstream, a nostro dire, con grandi nomi del calibro di ‘Len Faki’, ‘Paul Ritch’ e ‘Liebing’. Abbiamo optato, a causa dei nostri pregiudizi musicali, di seguire per voi prettamente due dei cinque stage, l’House e il Detroit senza tralasciare, però osservazioni sugli altri tre. Ma proseguiamo gradualmente. Al nostro arrivo, in ritardo di qualche ora e già in fermento per la serata, troviamo un ‘fiume’ di gente che si accingeva ad entrare, lasciando immaginare un gran pienone per questa edizione.
Ma è una volta entrati che lo stupore accresce, alle 21.30 il ‘Lingotto’ è già un fiume in piena di gente che danza, si scatena, entra ed esce dagli stage, già un ottimo inizio. Raggiungiamo in fretta l’House stage, il più piccolo dei cinque, avvolto da luci rosse, moquette e dal calore delle note di uno dei padri dell’House, ‘Marshall Jefferson’, che purtroppo pochi minuti prima aveva passato uno dei suoi cavalli di battaglia, ‘Move your body’ ed era già pronto a passare il testimone ad un’altra leggenda, il maestro ‘Derrick Carter’, tra gli applausi di un pubblico in visibilio. Partenza col botto ci siamo subito detti. Timetable alla mano e indicazioni proiettate sui muri, si comincia a girare, così giusto per farci un’idea. Una birra al volo con il rivoluzionario sistema di carte ricaricabili e via subito nel Detroit stage, dove da poco ha terminato il suo set il talento di casa ‘Gandalf’ lasciando la scena ad uno che di Detroit ne sa qualcosa in più, è il turno di ‘Stacey Pullen’, che infiamma il dancefloor fin da subito con cassa dritta e il classico sound drum/meccanico della techno ‘made in Detroit’. Tra fumo e luci blu, il suono di Detroit rimbomba tra le colonne, smorzato però dalla sua posizione non del tutto ottimale, a cavallo tra altri due stage che ne ‘inficiano’ la magia.
Decidiamo quindi di spostarci nello stage Yellow, casa della label tedesca ‘Innervisions’ per il set di uno dei fondatori, ‘Dixon’. Luci soffuse, gran pienone e le note di ‘Conium di Jonas Rathsman’ accompagnano il nostro ingresso in un dancefloor che dimena braccia e sorrisi per uno degli artisti più attesi. Riusciamo a rimanerci, però, solo per poco a causa delle alte temperature, vuoi le dimensione della sala, vuoi la qualità dei dischi, le prime gocce di sudore iniziano a scendere. Ma non c’è tempo per asciugarsi. Dirigendoci verso lo stage House, ci capita di imbatterci nella onnipresente ‘Nina Kraviz’ regina indiscussa della Techno made in Russia che infiamma ormai da due ore il Kappa stage. La regina a pochi minuti dalla chiusura del suo set, nonostante il nostro scarso interesse nei suoi confronti, con un loop incessante ci fa inchiodare i piedi a terra. Delle note che conosciamo bene iniziano a risuonare per il padiglione, è il suo ultimo disco, e che disco. Inizia uno dei suoi soliti balletti, giusto per non scindere la musica dalla sensualità che la contraddistingue, ed eccolo che risuona tra gli applausi incessanti del dancefloor ‘The Age of Love’ un disco cult della trance anni 90, guadagnandosi così un applauso anche da parte di noi scettici.
Ma mentre ‘Derrick Carter’ gioca con il suo pubblico attraverso la sua ‘Black Music’ intrisa di sonorità Soul e Jazz, che avrebbe fatto ballare anche i più aspri critici del genere, il Detroit stage si tinge di leggenda, è il momento di ‘Lil Louis’ uno dei pionieri dell’House di Chicago, ma che ha qualcosa da dire anche riguardo alla Techno di Detroit. Subito tuoni, fulmini e l’ostinato martellante dei bassi (“punchy” per dirlo all’inglese) ricoprono il pubblico ed è subito chiaro che siamo al cospetto di una leggenda, una leggenda in canottiera e coppola. Ed è sempre di leggende che si continua a parlare con l’ingresso in campo di ‘Dj Sneak’ portoricano d’origine, ma impiantato a Chicago, ormai colonna portante del movimento House underground, con le sue sonorità tendenzialmente Latin-House a base di bassi e percussioni, infuoca l’atmosfera già bollente. Il dancefloor esplode , infatti, prima sotto i colpi di ‘Deep Inside’ storico disco degli ‘Hardrive’ tra bassi sincopati e calorosi, fino ad arrivare al momento topico nel quale il dj portoricano si è esibito in un virtuosismo mixando in successione il remix di ‘Thriller di Michael Jackson’, ‘ I wanna be like Talking Heads di Dino Lenny’ e ‘Sweet Dreams degli Eurythmics’ tra gli sguardi increduli dei fan. Allontanandoci per una birra passiamo per il Movement stage dove ‘Len Faki’ sta passando uno dei dischi più suonati degli ultimi tre mesi ‘Freak like me’ di ‘Dj Deoon’ ottenendo braccia al cielo e grandi danze. Ma non c’è tempo per fermarsi, ‘Kevin Saunderson’ ha preso in mano le redini del gioco in quel di Detroit. Si inizia a fare sul serio. In concomitanza ‘Robert Hood’ fa ballare lo stage House a suon di ‘Never Grow Old’ e altri dischi che l’hanno reso celebre con il nome ‘Floorplan’. Ma sono solo preparativi per la chiusura. Chiusura con il botto. Sono infatti due pionieri del calibro di ‘Derrick May’ e ‘Lil Louis’ a chiudere il festival rispettivamente uno nel Detroit e l’altro nell’House stage.
Data la nostra ammirazione per ‘The Founding Father of House’ , la foga del momento, la mancanza di ubiquità, abbiamo preferito assistere allo show di ‘Lil Louis’. Dischi unici, ritmi folli, bassi incalzanti e tanta esperienza. Tutto questo è ‘Lil Louis’. Riesce a rapire l’attenzione di tutti, come con l’improvviso vocal di ‘Club Lonely ‘ battente nell’atmosfera già elettrica, o come con l’improvviso spogliarello messo in scena a completare uno spettacolo già di per sé tale. Possiamo quindi tirare le somme. Organizzazione impeccabile, dall’agibilità alle
misure di sicurezza, dalla gestione del bar alla line up varia e davvero di alto livello. Gli ospiti non hanno deluso le aspettative con delle grandi esibizioni. Tutto è andato per il meglio, tranne per chi dopo le 3.00 aveva ancora voglia di una birra e gli è stata negata causa ordinanza comunale, ma meglio così. Il ‘Movement’ si conferma così evento di spicco nel panorama elettronico italiano e ‘contenitore musicale’ di grande qualità. E che altro dire, alla prossima edizione!