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CINEMA – The Danish Girl: l’eterna sfida del diverso
a cura di Marina Amoruso
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali definisce la Disforia di genere (o Disturbo dell’identità di genere, DIG) come un disturbo psichiatrico caratterizzato da una forte discrepanza tra identità di genere (la percezione e la consapevolezza che la persona ha di sé come individuo di sesso maschile o femminile, da non confondere con l’orientamento sessuale, che consiste, invece, nella risposta di una persona ai diversi stimoli sessuali e che è determinato dal sesso del proprio partner) e sesso biologico. Tra i sintomi con i quali questo disagio psichico si manifesta vi sono, per citarne alcuni, intensi e persistenti sentimenti di malessere per il proprio sesso biologico, identificazione con il sesso opposto che si manifesta anche attraverso il desiderio di possedere il corpo dell’altro sesso e desiderio di essere considerato dagli altri come membro dell’altro sesso, i quali causano un disagio clinicamente significativo o compromissione in ambito sociale, lavorativo e nelle relazioni interpersonali. L’esordio del disturbo può verificarsi durante l’infanzia (transessualismo primario) o anche in età adulta (transessualismo secondario).
Di transessualismo secondario si parla nel caso di Lili Elbe, all’anagrafe Einar Weigener, artista danese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento nonché prima persona nella storia ad essersi sottoposta ad un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, procedura allora ancora sperimentale.
Il regista Tom Hooper (Il discorso del re), si è ispirato alla sua storia, e in particolare al romanzo “La danese”, per realizzare The Danish Girl, film al quale ha lavorato per oltre quindici anni e per il quale ha scelto di assegnare a Eddie Redmayne il complicato ruolo del protagonista, sicuramente anche per via dei suoi delicati lineamenti e del suo corpo non troppo mascolino. L’attore britannico non è nuovo a interpretazioni impegnative: lo scorso anno è stato premiato dall’Academy per aver impersonato l’astrofisico Stephen Hawking in La teoria del tutto ma, ancor prima, è stato il figlio adolescente, omosessuale e incestuoso di Julianne Moore in Savage Grace.
Il transessuale dipinto (è proprio il caso di dirlo) da Hooper è dolce ed elegante: mai una parola o un gesto volgare o fuori posto né nei momenti più intimi né durante la routine del truccarsi e vestirsi da donna, incominciata per gioco per aiutare la moglie, la pittrice Gerda Wegener, a terminare un ritratto. La delicatezza di Lili permea l’intero lungometraggio, come dimostrano gli sguardi leggeri, spesso preferiti alle parole, la tenue luce tipicamente nordica e i colori pacati degli scorci di Copenaghen. Tutta un’altra storia, ad esempio, rispetto ai transgender vistosi e carichi visti in La mala educación di Almodóvar.
Esattamente come il Laurence di Laurence Anyways diretto dal francese Xavier Dolan, Lili può contare su una forte figura femminile, cioè la sua compagna, che, nonostante si senta travolta dal dolore, dall’impotenza e dal senso di umiliazione, decide di rimanere accanto al partner per accompagnarlo nel percorso più difficile, continuando a sostenerlo a dispetto di tutto e amandolo di un amore inestinguibile anche se mutato nella forma.
Spesso le storie di queste persone non hanno un epilogo positivo, nei film (vedi la Hilary Swank di Boys Don’t Cry) come nella realtà. Questa pellicola offre lo spaccato di una società forse più aperta e tollerante sotto diversi punti di vista rispetto, per citarne uno, all’odierno contesto sociale italiano che fa ancora fatica a concepire la legittimità di garantire pari diritti alle coppie omosessuali e a quelle etero.
“Gli uomini hanno paura di ciò che non capiscono”, affermava Joseph Merrick, l’ Elephant Man ritratto da David Lynch, il quale, nonostante le evidenti deformazioni fisiche, fu integrato in maniera esemplare e quasi anacronistica nella società dell’Inghilterra vittoriana.
Probabilmente per fare qualche passo avanti nella direzione dell’accoglienza e dell’inclusione, nei confronti di tutti coloro che sono ritenuti in generale “diversi” dalla “normalità”, si dovrebbe guardare più di frequente a vicende (e a film) come questi.